martedì 26 ottobre 2010

Vedere il mondo (del lavoro)

Ieri sera guardavo Porta a Porta, si parlava di lavoro, di precarietà, di sindacati. Giro su La7 e più o meno venivano trattate le stesse tematiche. La mia reazione? Sentivo parlare di un altro Paese da persone che non lo conoscono neppure, se non per sentito dire. Non posso dire di essere sorpreso ma ho il brutto vizio di non essere immune da queste prese in giro. Questione di carattere. A questo punto, in questo mio spazio, voglio spiegare come lo vedo io il mondo del lavoro in Italia, con due proposte. Che succederà poi? Quasi sicuramente nulla. Ma intanto ci provo perché io questo Paese, al 48esimo posto a livello di competitività (sotto alla Lituania, tanto per capirsi), lo amo ancora, anche se non sono corrisposto.

Il mondo del lavoro in Italia, per me ma non solo, è questo:
  • Il 79% delle aziende italiane ha lavoratori non in regola, ossia in nero (84% in Emilia Romagna). La fonte è qui.
  • Gli ispettori INPS hanno recuperato un miliardo e 502 milioni di euro nel 2009. Ne assumono di più? No, si bloccano le assunzioni e, anzi, diminuiscono. Non proprio un'idea geniale se vuoi incentivare la lotta all'evasione fiscale. La fonte è la stessa citata prima.
  • 5 milioni di italiani esercitano lavoro autonomo ma 300-400.000 di queste partite IVA sono finte, ossia nascondono un lavoro dipendente (fonte Il Giornale delle partite IVA, Ottobre 2010).
  • Oltre 400.000 contratti di lavoro a progetto in Italia (fonte Il Sole 24 Ore), che sono rinnovabili per un numero indefinito di volte, hanno parametri molto vaghi e non assicurano assolutamente livelli pensionistici da paese civile.
  • Oltre 300.000 stagisti in Italia (la fonte è qui). Secondo la legislazione italiana, lo stage non è in alcun modo considerabile come un rapporto di lavoro subordinato e quindi non è obbligatoria la retribuzione degli stagisti. Non proprio un esempio di equità da paese civile. 
A mio parere, questa è una situazione non gestibile per il sistema aziendale italiano. Cosa avremo tra 10 anni? Un esercito di precari non formati e inefficienti, la costante necessità di aumentare gli ammortizzatori sociali (che ammortizzano ma non spingono nulla), nessun valore aggiunto per le aziende (che non hanno risorse produttive, competenti e motivate). Diciamolo chiaro: la Legge Biagi ha fallito. Sono passati sei anni e i risultati non ci sono, inutile attaccarsi a dati di comodo "in politichese" o far raffronti superficiali con altri Paesi. Per questo, propongo due cose, derivate dalla realtà che vedo con i miei occhi:
  1. Rivedere la legge Biagi, diminuendo le tipologie contrattuali e riportando in auge il contratto di formazione lavoro, oltre a prevedere minimi retributivi per gli stage: il CFL era una forma contratto equo che dava vantaggi sia alle imprese (che formavano le proprie risorse in modo serio e con una prospettiva) che agli impiegati (lavoro stabile per 12 o 24 mesi, non rinnovabile, o si viene assunti o si cerca un altro lavoro). Possiamo ripartire dal 2004 (io sono stato uno degli ultimi in Italia ad avere questo tipo di contratto). In più, che uno lavori gratis (con uno stage) è un'assurdità economica, oltre che logica.
  2. Collaborare con le associazioni di categoria: il sindacato è ormai una struttura obsoleta, che potrebbe andare bene solo per grandi aziende. In Italia, il 95% delle imprese ha meno di 9 impiegati. Il Ministero del lavoro deve poter dialogare con un numero definito di associazioni per definire protocolli equi per ogni macrocategoria di lavoratori. Non solo quelli "tutelati" da Ordini professionali. Siamo nel 2010, accidenti.
I miei sono solo due sassetti dello stagno. Ma li mando via mail al Ministro Sacconi (oltre a offrigli la mia consulenza per aggiornare i contenuti del sito del suo Ministero). E già mi preparo alle nuove puntate di Porta a Porta, deprimenti anche senza plastici. Basta un sindacalista che parla di un mondo industriale morto e sepolto da più di 20 anni.

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